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Seduto in una lanchonete di Rio osservo un novantenne che ammira compiaciuto il passaggio di un’avvenente morena. Istintivamente gli chiedo “Vocè ainda gosta de mulher?!”  (Le piacciono ancora le donne?), “Atè morrer” (finchè non muoio)  la sua pronta risposta, con tanto di rima e un sorrisetto pieno di sottintesi e nostalgia. Subito gli parte una spiega di come in Brasile gli uomini o siano gay oppure siano tarati per le femmine, senza mezze misure.. 

Fare amicizia in Brasile è davvero facile, ovunque, come bere um suco de fruta. Unico problema la lingua, per impararla serve almeno un mese, ma ne vale la pena, anche per il piacere di capire le straordinarie espressioni popolari, che valgono come una miniera d’oro: “Um olho no padre, outro na messa, outro no clero” ( un occhio sul prete, uno alla messa e l’altro sul clero : ossia, stare attenti a non farsi fregare) Para quem sabe ler um pingo è letra (per chi sa leggere, ogni segno è una lettera: cioè capire sottintesi e sfumature ) Dar uma cordinha (dare una cordina, ossia  far finta di crederci, stare al gioco,,  ) 

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I brasiliani sono spiriti liberi, difficili da sottomettere. E sono anche il popolo meno razzista che conosco: ovviamente i bianchi si sentono un po’ superiori a tutti gli altri, ma ci sono troppe carnagioni, troppi miscugli, e i brasiliani sono troppo pigri per perdere tempo col razzismo. Preferiscono di gran lunga la musica, il ballo e la caipirinha, tutte cose che uniscono più che dividere. 

In Brasile gli estremi si toccano, generando scosse continue, è un paese per palati forti, dove la ricchezza stride con la povertà, dove la strada è il teatro di continue commedie e rare tragedie. Ma la violenza non è affatto brutale come i media italiani amano descriverla. E’ più che altro un depistaggio: la verità è che c’è molta più violenza in Italia che non in Brasile. Qui è solo più appariscente, più plateale. 

L’esempio più clamoroso è l’arrastao: centinaia di ragazzini del suburbio che all’improvviso come uno stormo di cavallette imbizzarrite invadono una spiaggia affollata e arraffano tutto quello che riescono in pochi secondi: rubano ciabatte accendini salviettoni cellulari occhiali da sole  …   più che una rapina sembra una performance teatrale, che inevitabilmente finisce sui TG di tutto il paese e a volte travalica i confini nazionali… Al contrario, in Brasile non succede che uno possa venir massacrato di botte sulla metro senza che qualcuno intervenga, perchè i brasiliani sono coraggiosi e non scappano a gambe levate come invece succede da noi…( doloroso ammetterlo, ma in Europa funziona così). 

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Il Brasile mi piace perchè è bello, è giovane e soprattutto coraggioso. Anche a novantanni uno può essere giovane in Brasile. Atè morrer.

A volte mi capita di voler staccare da tutto all’improvviso, così organizzandomi come sempre all’ultimo secondo, prendo un treno e scappo a Venezia, una classica meta che, ogni volta, riesce a regalare qualcosa di nuovo. Qualche nuvola regala momentaneamente riparo dal sole caldo che presto rimpiangeremo, con la mia Reflex armata di fisheye mi intrufolo tra coloro che tra ponti e calle si perdono tra un selfie e l’altro; passo dal PONTE DELLE GUGLIE, dal GHETTO EBRAICO.

Mi concedo un’ottima granita alle mandorle condivisa con una nuova amicizia e attraverso il controverso PONTE DELLA COSTITUZIONE DI CALATRAVA, per giungere alla fermata di battello più vicina possibile alla mia meta, il PALAZZO DEI TRE OCI sull’isola della GIUDECCA, dove la mostra del mio adorato Helmut Newton sa restituirmi la pace dei sensi e dove godo, dall ultimo piano, di una vista della città al tramonto che una foto rubata di soppiatto aprendo la finestra non può ovviamente replicare.

Immancabile il passaggio in piazza SAN MARCO che trovo fortunatamente meno affollata di persone e piccioni dell’ultima volta in cui passai per di qui anni fa, ma sempre una meraviglia; finisco in un negozio di gioielli e vetro di MURANO a parlare con il commesso dall animo rock quanto il mio e già che si trova a pochi passi, ne approfitto per sbirciare i cimeli esposti all HARD ROCK CAFE’.

Si avvicina l’ora del treno di ritorno, ma c’è tutto il tempo per un aperitivo tardivo in un vecchio bar in muratura famoso per i suoi tramezzini, che accompagno allo spritz locale, variante simile ad uno spritz ordinario ma più buono per il mio palato da non bevitore. Ora che posso vagare a zonzo passo per gruppi di studenti e aree più moderne non lontane dalla stazione, così da poter attaccare qualche adesivo del mio gruppo in mezzo a quello di vari altri già presenti sulle bacheche. Sudato per il lungo vagare saluto chi devo salutare, un paio di piroette tra la folla e sono sul treno.

Il Sudafrica è un Paese che dà delle risposte. Sì, ma quali sono le domande?

Com’è il dopo Mandela? Quanto è durato l’apartheid? C’è ancora la povertà? Ma si vede qualcosa? E la corruzione? E le strade? Ci sono ancora i ghetti dei neri? Perché è così diffusa la cucina malese ed indiana al Capo? E adesso cosa fanno i bianchi? Ma come finisce il mondo al vento del Capo di Buona Speranza? Ma quei tubi marroni sono alghe? Vedremo le balene gravide nella baia tiepida di Hermanus? Quanto pubblico c’è adesso negli stadi di design dei mondiali di calcio? Apre di più le braccia il “mandelone” di Pretoria o il Cristo Redentor di Rio? Il centro è pericoloso? Ma quanto costa la tanzanite che sta tanto bene con i jeans e la maglietta? E quello è uno zulu? Ah ecco, e i boscimani come li riconosco?

IL PAESE ARCOBALENO..ora capisco ..
IL PAESE ARCOBALENO..ora capisco ..

E finite le domande ecco le certezze: la strada dei 2 premi nobel a Soweto, l’onnipresente Mandela ed il vescovo nero Tutu, le spezie del Chakala, le pallottole sparate in chiesa nella vecchia repressione, le foto in bianco e nero delle rivolte dei ghetti, molto più nere che bianche, l’apartheid ridotto finalmente a museo con l’ingresso separato dal colore della pelle che hai, le statuette souvenir in legno che fan tanto mostra missionaria delle suore, le cooperative agricole dei bianchi boeri afrikaans con le mele come in Trentino, le arance spremute come in Marocco e le stringhe di mango essicato come solo qui.

Sperimenti che all’emisfero australe più vai a sud più fa freddo, che ad andare verso nord vai verso le savane, il secco ed i “bush” cespugliosi, che il vino non lo sanno fare solo italiani, francesi e cileni (tenete a memoria la parola “pinotage” come un mantra). Inoltre non hanno un sapore così rivoluzionario ma vuoi mettere raccontare di aver mangiato grigliate di antilopi, struzzi, gnu, zebre ed impala senza contare l’alligatore con le patate alla brace nella sera senza lampadine?

che c'è da guardare? faccio GINNASTICA
che c’è da guardare? faccio GINNASTICA

La sensibilità verso gli animali: è il primo timore in terra di caccia e bracconaggio ma subito ti placano dicendoti che il Paese è povero, le risorse vanno alle case popolari per sostituire i malefici ghetti ed il “bilancio animali” deve autosostenersi, la parte sacrificata alla caccia ben pagata dagli stranieri finanzia l’altra degli animali liberi, fieri e pazienti, censiti e fotografati da turisti instancabili di scorgere un sussurro dietro un ramo e noncuranti nel firmare liberatorie in caso di attacchi felini, cariche di elefanti stufi di sentire il gasolio delle jeep già da lontano, bufali, ippopotami con sguardi cattivi a pelo d’acqua o rinoceronti che sembrano carrarmati mimetici bisognosi di crema idratante.

ti va bene che oggi non ho appetito..
ti va bene che oggi non ho appetito..

Sembra di aver ritrovato in soffitta il libro degli animali di quando da bambino li disegnavi e ricalcavi, solo che ora sono lì, loro vicini e liberi e in 3D (4D visto che ne senti anche gli odori) mentre tu invece sei chiuso al poco riparo della jeep senza vetri né tettuccio che dissimuli indifferenza ma ti senti il primo bianco nel continente nero che scatta la prima foto alle ondulate venature “optical” della zebra, concessa per pochi secondi al preciso teleobiettivo occidentale dalla Mamma Africa.